I Giudizî sulle Terre

Publié le par Al Italî

 

بسم الله الرحمان الرحيم

 

Ahkām ad-Diyār: Dār al-Islām wa-Dār al-Kufr

 

I Giudizî sulle Terre: definizioni di ‘Terra dell’Islam’ e ‘Terra della Miscredenza’

 

di Šayh ‘abd al-Qādir bin ‘abd al-‘Azīz

 

L’imām ibn al-Qayyim (che Allah abbia misericordia di lui) disse: “La maggioranza (dei sapienti, ndt) afferma che una Dār al-Islām è quel luogo in cui i musulmani sono arrivati e le leggi dell’Islam sono applicate. Invece il posto in cui le leggi dell’Islam non sono applicate non è una Dār al-Islām, persino se è adiacente (a una terra dell’Islam). Per esempio (la città di) at-Tā’if era molto vicina a Makka, eppure non divenne una Dār al-Islām con la conquista di Makka” (ibn al-Qayyim, Ahkām Ahl ad-Dimma, vol. I, pag. 366, edizioni Dār al-‘Ilm li-l-Malāyyīn, 1983).

 

L’imām as-Sarhasī al-Hanafī disse: “Secondo Abū Hanīfa (che Allah abbia misericordia di lui), il loro stato diventa Dār al-Harb (‘Terra di guerra’) in presenza di tre condizioni. La prima: che esso sia vicino alla terra dei Turchi, e che non vi sia nessun stato islamico tra esso e Dār al-Harb. La seconda: che nessun musulmano che si trovi al sicuro con la sua fede (īmān), e nessun protetto di altra religione (dimmī) che si trovi al sicuro con tranquillità (amān) vi rimanga dentro (ossia resti dentro quello stato). La terza: che lí dentro (ossia in quello stato) si manifestino le leggi del politeismo (širk). Abū Yūsuf e Muhammad (che Allah abbia misericordia di loro) hanno detto: «Se le leggi dello širk si sono manifestate (in quello stato), allora esso è diventato Dār al-Harb, giacché il luogo è attribuito o a noi o a loro soltanto in base alla forza e al governo, dunque ogni posto in cui la legge dello širk sia palese, secondo la potestà appartiene ai politeisti (mušrikūn), e pertanto è una Dār al-Harb. Invece dovunque sia palese la legge dell’Islam, allora la potestà appartiene ai musulmani»” (as-Sarhasī, al-Mabsūt, vol. 10, pag. 114, edizioni Dār al-Ma‘rifa).

 

I sapienti (‘ulamā’) non prendevano in considerazione le condizioni menzionate da Abū Hanīfa (che Allah abbia misericordia di lui), cosicché persino due suoi compagni, al-Qādī Abū Yūsuf e Muhammad ibn al-Hasan aš-Šaybānī, lo contraddissero, come ha riferito as-Sarhasī. ‘Alā ad-Dīn al-Kāsānī lo menzionò ugualmente, e tenne conto delle sue parole: “Certamente ciascuno stato è attribuito o all’Islam o alla Miscredenza. Lo stato è attribuito all’Islam unicamente se le leggi dell’Islam vi sono applicate, ed è attribuito alla Miscredenza se vi sono applicate le leggi della Miscredenza. Esattamente come voi dite che il Paradiso (Janna) e la dimora della pace e l’Inferno è la dimora della rovina, poiché la perfezione è propria del Paradiso, mentre la rovina è propria dell’inferno: tutto ciò, quindi, in ragione del fatto che la predominanza dell’Islam o della Miscredenza s’ottiene attraverso la predominanza delle loro leggi” (al-Kāsānī, Badā’i‘ as-Sanā’i‘, vol. 9, pag. 4375, edizioni Zakariyyā ‘Alī Yūsuf).

 

Inoltre ibn Qudāma confutò le condizioni di Abū Hanīfa dicendo: “Laddove il popolo d’un paese commette apostasia e laddove si applicano le leggi della Miscredenza, si ha una Dār al-Harb, cosicché i loro beni si possono prendere come bottino (ğanīma), e la loro progenie nata dopo l’apostasia può essere fatta schiava. L’imām deve combatterli, giacché Abū Bakr as-Siddīq (che Allah sia soddisfatto di lui) combatté insieme con la Comunità dei Compagni (la Jamā‘a dei Sahāba) contro le genti dell’apostasia: Allah l’Altissimo (Ta‘ālā) in numerosi passi del Suo Libro ha ordinato di combattere i miscredenti, e gli apostati sono coloro che maggiormente meritano d’essere combattuti. Se li si lascia agire si rischia che i loro simili li imitino e apostatino con loro, talché il male s’ingrandisca mediante coloro; quando li si cattura devono essere uccisi, se fuggono devono essere inseguiti, i loro feriti devono essere ammazzati e i loro beni devono essere presi come bottino di guerra. Questa è l’opinione di aš-Šāfi‘ī. Disse Abū Hanīfa che un posto non diventa Dār al-Harb se non a tre condizioni: che sia vicino ad una Dār al-Harb e non vi sia nessuna Dār al-Islām tra esse; che nessun musulmano o dimmī non vi si trovi al sicuro; che le loro leggi (della miscredenza) vi siano applicate”. Aggiunse ibn Qudāma: “Secondo noi una Terra dei miscredenti (Dār al-Kuffār) è quel luogo in cui si hanno le loro leggi, cosicché essa diventa una Dār al-Harb”. (ibn Qudāma, al-Muğnī wa aš-Šarh al-Kabīr, vol. 10, pag. 95).

 

L’imām as-Sarhasī al-Hanafī, nella spiegazione (Šarh) dell’opera as-Siyar al-Kabīr, scrisse: “Lo stato diventa una Terra dei Musulmani (Dār al-Muslimīn) mediante l’applicazione delle leggi dell’Islam” (vol. 5, pag. 2197).

 

Quanto a al-Qādī Abū Ya‘lā al-Hanbalī, egli disse: “Ogni stato il cui governo spetta alle leggi della Miscredenza e non alle leggi dell’Islam, è una Dār al-Kufr” (al-Mu‘tamad fī Usūl ad-Dīn, pag. 276, edizioni Dār al-Mašriq, Bayrūt, 1974). E ‘abd al-Qāhir al-Bağdādī si espresse in maniera analoga (Usūl ad-Dīn, pag. 270, Dār al-Kutub al-‘Ilmiyya, seconda edizione).

 

Disse poi Šayh Mansūr al-Bahūtī: “L’emigrazione (hijra) è obbligatoria per chiunque non sia capace di dimostrare apertamente la sua religione nella Dār al-Harb, e per Dār al-Harb s’intende il posto il cui governo è affidato alle leggi della Miscredenza” (Kaššāf al-Qinā‘, vol. 3, pag. 43).

 

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Spero che questo scritto spieghi chiaramente a tutti che si definisce Dār al-Islām ciascuno stato nel quale si applichi integralmente la Legge islamica: dico integralmente, poiché Allah (gloria a Lui l’Altissimo) diede tale ordine, che fu messo in pratica dal profeta Muhammad (pace e benedizioni su di lui) e dai suoi compagni (che Allah abbia misericordia di loro). Come si può ben capire, codesto concetto non ha niente che vedere con quello di ‘paese a maggioranza islamica’, ma ha solo ed esclusivamente significanza giuridica: concerne il fatto in uno stato viga la Legge islamica o no. Si dice infatti precisamente Dār al-Islām, non Dār al-Muslimīn, poiché Terra di questi ultimi dev’essere una Terra dell’Islam: se in uno stato vi sono soltanto musulmani, ma le leggi applicate sono diverse dalla Sciaria, quello non è Dār al-Islām. Ancora, supponiamo che in uno stato i musulmani siano il 5%, in un altro il 50%, nel terzo il 90%: poiché verosimilmente nei primi due la legge islamica non sarà in vigore, qualora anche nel terzo il sistema costituzionale si distaccasse da quest’ultima, i tre stati sarebbero accomunati dal trovarsi in una condizione diversa da quella propria di Dār al-Islām, cioè Dār al-Kufr.

I sapienti hanno adoperato anche altri termini, oltre a Dār al-Kufr, per indicare gli stati in cui non vige la Legge islamica: si è detto, per esempio, Dār ad-Da‘wa, per un luogo idoneo all’opera di apostolato; Dār al-‘Ahd, per un luogo in cui i musulmani vivono legalmente e pacificamente, nel rispetto delle leggi locali se i musulmani stessi possono praticare il loro culto; Dār al-Harb, che, come s’è già visto, indica un paese nemico dell’Islam; Dār al-Hijra, per un luogo in cui risiedono comunità islamiche emigrate da altri paesi. Su tali questioni rimando alla lettura di opere specifiche, ma qui basti dire che l’opposizione fondamentale resta quella tra Dār al-Islām e Dār al-Kufr.

 

Nelle ultime righe dell’articolo di Šayh ‘abd al-Qādir bin ‘abd al-‘Azīz è proposto il tema della Hijra. Nel Sublime Corano la Hijra è legata strettamente al concetto di Jihād, come dimostrano numerosi passi (vedansi II, 218; III, 195; IV, 89, 97; VII, 72, 74, 75; IX, 20; XVI, 110): i primi musulmani emigrarono al fine di combattere per la causa di Allah. In alcuni casi la Hijra è menzionata senza riferimento al Jihād, come in IV, 100. Anche nelle epoche successive la Hijra fu compiuta innanzitutto con lo scopo del Jihād, ma si aggiunse un secondo fine: vivere in un luogo (la Dār al-Islām), governato dalle leggi di Allah. D’altro canto vi furono, già ai tempi del Profeta (pace e benedizioni su di lui) musulmani che emigrarono in direzione contraria, ossia lasciarono la Dār al-Islām in direzione di Dār al-Kufr, per diffondere la propria religione mediante predicazione.

Pertanto anche ai nostri giorni il primo scopo della Hijra è il combattimento sulla Via di Allah, l’opera piú meritoria che si possa compiere.

 

 

Anche l’emigrazione per la diffusione della parola di Allah con mezzi pacifici, ovviamente, è ben raccomandata.

In concreto, però, bisogna esaminare la situazione presente e capire quali luoghi presentino i caratteri sopra esposti, per poter ricavare indicazioni operative. Si sarà notato che i suddetti giuristi antichi facevano riferimento alla situazione politica della loro epoca, quindi anche oggi in tal modo dobbiamo agire noi.

Dov’è adesso Dār al-Islām?

Fra il 1996 e il 2001 uno stato islamico esisteva: l’Emirato islamico dell’Afganistan, il cui territorio corrispondeva a quasi tutto lo stato che l’ONU chiama Afganistan. Ciò non significa che fosse uno stato perfetto, ovvero che rappresentasse l’ideale di stato islamico: semplicemente era uno stato islamico.

In questo momento si è maggiormente vicini alla costruzione di stati islamici in quattro luoghi del mondo: lo stesso Afganistan, e parte del confinante stato chiamato Pakistan; Somalia; Caucaso, ossia in un insieme di repubbliche che per l’ONU fanno parte della Federazione Russa; alcune regioni dello stato chiamato Irak.

Nei suddetti quattro luoghi esistono zone in cui la Legge islamica è applicata: qui è Dār al-Islām.

I suddetti quattro stati islamici in formazione, però, mostrano la caratteristica comune di subire occupazione esterna di miscredenti e tradimento da parte di apostati locali: sono, cioè, paesi in guerra.

La guerra è dura, e anche le donne, quando possono, sono chiamate a partecipare. Si veda l’immagine di una sorella somala (Allah protegga lei e le sue compagne): si avverte il profumo del Paradiso.

 

 

Non si dimentichi che nel mondo esistono anche altri luoghi nei quali si sta effettuando il Jihād: in essi, però, ancora i militi musulmani non sono riusciti a stabilire la Legge di Allah in zone vaste.

 

Oggi il termine Dār al-Islām è adoperata in maniera impropria, giacché lo si riferisce a paesi nei quali la religione islamica è la piú diffusa, senza che in essi viga la Sciaria.

Bisogna ricordare una distinzione primaria fra:

  • stati laici che non assegnano all’Islam nessun ruolo ufficiale (per esempio Tunisia e Turchia);
  • stati che riconoscono l’Islam come religione ufficiale, ma non applicano la Legge islamica (per esempio Marocco ed Egitto);
  • stati nei quali la Legge islamica risulta essere in vigore, ma che non sempre la applicano e commettono gravi ingiustizie verso i musulmani, o entro i confini dello stato, o nel resto del mondo (per esempio Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).

 

Tutti gli stati che rientrano nelle tre categorie suddette hanno in comune questo: che non sono Dār al-Islām. Essi sono chiamati spesso “paesi musulmani”, ma ciò non è una definizione giuridica, bensí riguarda la storia di quei paesi e la diffusione della religione maggiore: Dār al-Islām – lo ripeto – è soltanto lo stati islamico, punto e basta. Invito a leggere le opere di grandi sapienti contemporanei, uomini coraggiosi quali Anwar al-Awlaki, Abu Muhammad al-Maqdisi, Abu Basir at-Tartusi, Safar al-Hawali (che Allah protegga tutti loro), uomini veri non asserviti ai potenti, uomini che hanno pagato e pagano con il carcere e la persecuzione la propria onestà intellettuale; inoltre gli stessi Usama bin Laden e Ayman az-Zawahiri (che Allah li protegga) hanno sempre distinto i due concetti, siccome aveva fatto un altro sapiente del Novecento, Sayyid Qutb (che Allah abbia misericordia di lui)[1].

Può destare sorpresa e sconcerto il fatto che il Regno Arabo Saudita non sia ricondotto sotto la voce di Dār al-Islām, ma la presenza delle due città sante entro i confini dello stato non rende quello uno stato islamico, e ugualmente non basta il fatto che gli antichi Sa‘ūd appoggiarono ‘abd al-Wahhāb (che Allah abbia misericordia di lui) nella costruzione di uno stato islamico esente da impurità politeistiche: parliamo della nostra epoca. I fratelli di www.ribaat.org hanno pubblicato un documento, Le Royaume des Al Saoud, nel quale si dimostra la miscredenza dello stato saudita: invito a studiarlo con attenzione, e raccomando anche di valutare bene il comportamento di molti membri della famiglia regnante.

Ecco come agiscono quando si sentono piú liberi. L’immagine che vi propongo mostra una nipote dell’odierno re, la quale, parimenti a molti suoi familiari, frequenta la Costa Smeralda (Sardegna), notorio luogo di ritrovo per uomini casti e fanciulle morigerate. Guardate come vanno in giro queste ‘principesse’:

 

 

D’altra parte, qualora le prove del documento suddetto non fossero sufficienti, si tenga conto del progetto di legge sull’età minima del matrimonio per le donne: numerosi politici e cosiddetti sapienti vorrebbero portarla a sedici anni, siccome già è norma in certi stati, alcuni dei quali arabi. Orbene basta che una simile infamia sia voluta dai governatori, approvata dai sapienti e accettata dalla popolazione, per rendere questo stato, parimenti a qualsiasi altro, Dār al-Kufr, quand’anche fosse l’unica norma in contrasto palese con l’Islam.

Qualcuno parla poi degli Emirati Arabi Uniti quale ‘paese musulmano’, e buona destinazione per la Hijra. Io posso concordare che sia una buona destinazione, se si prendono in considerazione i calciatori brasiliani, le ballerine russe (ai ricchi arabi piacciono le bionde) e i rappresentanti di acquavite richiesta da alberghi a cinque, sei e ... sette stelle a forma di vela. Fra i paesi arabi piú ricchi, inoltre, si hanno alcune delle società piú classiste del mondo: se non si è parenti o amici di qualcuno che conta, si è giudicati persone di nessun valore, meno di zero.

Alcuni anni fa, sulla rivista Al-Mujahida (n. 22, pag. 3) di ‘Aisha Barbara Farina (Che Allah protegga lei e la sua famiglia) comparve un articolo intitolato Care sorelle, emigrate nella Terra dell’Islam!, nel quale una sorella cittadina italiana raccontava della sua esperienza e del suo trasferimento nel paese del marito, il Marocco, definendolo dunque questo stato Dār al-Islām. Il Marocco? Ahimé, sono lieto se questa sorella si è trovata bene, probabilmente sta meglio lí rispetto al suo paese d’origine, ma chiamare il Marocco Dār al-Islām mi pare un errore evidente. In Marocco vivono sicuramente moltissimi bravi musulmani, e vi sono luoghi in cui li si può trovare riuniti: le prigioni di Témara e Salé. In Marocco – mi limito a due esempî esplicativi – non solamente non esiste una banca islamica, ma nessuna banca compie nemmeno operazioni islamicamente lecite, a differenza di quello che verifichiamo in paesi occidentali, nei quali per i clienti musulmani sono state studiate operazioni specifiche, che, tra l’altro, hanno rafforzato la crescita delle banche che le hanno varate; in Marocco è di norma che l’imām pronunzî un sermone scritto per lui e imposto dal Ministero degli interni. Questa sarebbe Dār al-Islām?

Insomma dico: emigrare da uno stato europeo verso uno a maggioranza islamica è un’azione islamicamente lecita e in taluni casi anche consigliabile, ma non si dimentichi che, non essendo essi

Diyār al-Islām, permangono i doveri di Jihād e Da‘wa, e propongo quindi l’ultimo esempio: chi emigra da Gorgonzola al Cairo passa da una Dār al-Kufr, nella quale i musulmani sono pochi e trovano difficoltà a far crescere i loro figli, ad un’altra Dār al-Kufr, in cui vivere da musulmani per molti aspetti è piú facile, ma si deve sottostare a un’orribile tirannide filosionista che i musulmani hanno l’obbligo di rovesciare. Analogamente un cairota, se emigra dalla sua Dār al-Kufr alla Dār al-Kufr di Gorgonzola, dovrà lavorare per Allah, secondo le esigenze e i caratteri del luogo in cui si reca, i quali differiscono da quelli del suo paese di provenienza.

Insomma si consideri questo: se Dār al-Islām significa “Terra della sottomissione ad Allah”, come può ricadere sotto tale definizione uno stato ch’è sottomesso agli Americani?

 

La Hijra è obbligatoria, quando si può eseguire, se il paese in cui si vive impedisce assolutamente un’esistenza da musulmani: si rammenti l’Albania comunista, nella quale le religioni erano proibite, oppure l’Europa cristiana medievale, nella quale una pubblica conversione all’Islam avrebbe comportato la morte. Nell’epoca presente, invece, i musulmani, pur dovendo affrontare grandi difficoltà in un clima politico che diventa molto aspro nei loro confronti, possono manifestare il loro culto, e in taluni stati hanno ottenuto eziandio riconoscimenti giuridici raggurdevoli.

Vediamo appunto l’Europa di oggi, e consideriamo tre stati come Gran Bretagna, Paesi Bassi e Svezia, che sono tra quelli in cui si sono consolidate le migliori comunità islamiche. Io domando: se tutti i musulmani che ivi risiedono abbandonassero quei paesi e li lasciassero alla maggioranza miscredente, farebbero la volontà di Allah? Allah ha forse chiesto di non diffondere l’Islam? Il Profeta (pace e benedizioni su di lui) non disse forse che la sua Umma si sarebbe estesa dall’estremo occidente all’estremo oriente? Affermò forse egli che la Umma sarebbe cresciuta soltanto per mezzo di occupazioni militari?

 

Veniamo adesso allo Stato Italiano. Premesso che, come ho già scritto in Shaykh Usama e la Liguria, esso storicamente è un paese già di per sé multietnico e multiculturale, e dunque non tutti gli ambienti presentano le medesime caratteristiche, non biasimo che senta la volontà di emigrare, anzi dico che tale pensiero può venire non una, ma dieci volte al giorno. Bisogna d’altronde tenere sempre a mente quanto bene si fa per le generazioni venture se si comincia a costruire una comunità islamica nel proprio paese, e, nel suddetto caso specifico, invito a riflettere sul ruolo che le sorelle munaqqabāt svolgono in Occidente: esse sono paragonabili a macchine da guerra, ad arieti che stanno sfondando le porte della miscredenza e della degenerazione dei loro paesi; se le sorelle penseranno poi a quali grandissimi meriti, anche con la loro semplice testimonianza di vita, stanno ottenendo in questa dunyā, e poi a quali magnifici onori le attendono nell’altra vita a Dio piacendo, rapidamente si libereranno da comprensibili momenti di sconforto e tristezza, e continueranno nel loro Jihād.

 

Io credo dunque che, ancor piú che eseguire una Hijra la quale non sempre presenta oggi le modalità che aveva ai tempi dei primi musulmani, sia notabile innanzitutto vivere da musulmani e lavorare per l’Islam in qualunque luogo tocchi di risiedere. Dovunque ci si trovi, insomma, è necessario obbedire ad Allah e testimoniare la propria fede, non per ostentazione, ma per aiutare gli altri, ossia per rafforzare la comunità islamica e chiamare all’Islam le persone di buona volontà tendendo loro la mano.

Il pericolo, nel caso di una Hijra affrettata e non ponderata bene, è che tocchi poi rimpiangere il paese di quel vecchio donnaiuolo del Berlusca, uomo tanto galante quanto galantuomo.

 

 

Traduzione e commento finale a cura di Kārih Faransā cabd al-Mumīt Misogallo



[1] Uso qui la trascrizione piú frequente e non quella scientifica, affinché le opere degli autori citati siano reperite con maggiore facilità.

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